Attrice, autrice e regista teatrale, scrittrice e giornalista.

Parla con Lei, una valanga vi seppellirà

Anna Maria Bruni

A volte è difficile scrivere, e in un certo senso persino una fortuna, perché vuol dire che sei in movimento, sei in scena, sei nelle strade, sei con gli altri, sei nelle piazze dove il confronto ferve e dove non smettiamo di costruire, aggiungere tasselli a quella che ne sono certa sarà una valanga che travolgerà l’orrore, l’infamia dello stupro e di ogni violenza sulle donne.

Ma dopo la morte delle 26 ragazze nigeriane, sbarcate senza vita nel porto di Salerno, non è possibile non fermarsi, non fermare sulla carta, mi vien da dire anche se è elettronica, non è possibile non dire il dolore profondo, acutissimo, per questa infame sopraffazione.

Con le mie compagne nello spettacolo Il laboratorio della vagina,  approfittando di un frammento del testo di Marco Palladini Il rumore della notte, denunciamo gli stupri di guerra – 70mila donne bosniache, nel ’93, qualcuno dice addirittura 300mila, ma non è neanche più questo il punto – come atto ultimativo dell’annientamento dell’altro nella profanazione del corpo, della donna e proprio, che diventa arma letale, trasformando un atto vitale in un atto di morte.

Stupri consumati nell’indifferenza totale, senza che “nessuno abbia fatto qualcosa per impedirli”.

E’ accaduto di nuovo. Appena ho letto mi è tornata alla mente la denuncia di Pasolini, “io so, ma non ho le prove”. Invece le prove io ce l’ho. Sono loro, le ragazze, che mentre scrivo sento dentro, attraverso, vicino, sento le loro voci, vedo i sorrisi, le risate, gli occhi lucidi, brillanti, e poi i loro visi trasfigurati dall’orrore della violazione di quanto abbiamo di più pulito. Perché i corpi sono puliti, sono le menti ad essere sporche.

Vedo la spraffazione, lì, in quel momento, o in quella dei riti che ottundono le loro menti candide con l’incubo di spaventose ritorsioni di fronte a un loro No, ammansite poi dalla menzogna di una vita migliore in Italia, nella spinta sulla strada, nella violazione continua e continua di rapporti obbligati per ripagare il debito contratto, nelle botte se tornano a mani vuote.

Noi sappiamo, conosciamo questi fatti. Da molto, abbiamo capito l’esercizio del potere, la sete di profitto, le dimostrazioni di forza, gli abusi. La banalità del male. Conosciamo le dinamiche che li permettono. Per questo sappiamo che la battaglia per la libertà delle donne è una battaglia per la libertà del genere umano. Per questo pretendiamo che gli uomini non si credano assolti, che sappiano di essere coinvolti, e che si schierino attivamente, sempre più numerosi e sempre più incazzati, perché sempre più capaci di sentire questo stesso dolore, di non rimuoverlo, e di non volerlo più sopportare. Come noi, insieme a noi.

 

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